L’impiego delle fonti rinnovavili per la produzione di energia elettrica racchiude un potenziale di crescita economica ed occupazionale che può oscillare fra i 51.000 e il 102.000 nuovi occupati a seconda dello scenario di riferimento al 2020: è quanto emerge dallo studio “Le ricadute economiche e occupazionali degli scenari di produzione elettrica al 2020 in Italia”, presentato al Cnel. Questo studio costituisce un ulteriore avanzamento dell’indagine iniziata dal CNEL con l’ausilio della Fondazione Sviluppo Sostenibile nella primavera 2009, con l’allargamento delle stime degli impatti su reddito e occupazione totali e settoriali dai settori eolico e fotovoltaico all’intero settore della produzione elettrica nazionale. La metodologia adottata si fonda su diversificati scenari obiettivo, cui applicare l’analisi input/output attraverso l’uso delle matrici delle interdipendenze settoriali prodotte dall’ISTAT, a partire dal quadro strategico delineato nel noto “pacchetto 20-20-20” dell’Unione europea. I risultati prodotti dalla ricerca riguardano gli effetti dell’evoluzione del sistema nazionale della produzione elettrica a partire dall’esito della recente crisi economica. A tale scopo, è stato fatto uno sforzo per stimare, laddove necessario, i dati 2009 in modo da tener conto della inedita contrazione avvenuta e di restituire una valutazione credibile di ciò che ci potrà attendere da oggi in poi. Gli scenari di riferimento sono stati due: il primo modello a ‘business usual’, il secondo orientato all'”impegno europeo”. Il cambiamento del modello di produzione di energia elettrica rappresentato dallo scenario di ‘impegno europeo’, che valorizza pienamente il potenziale di fonti rinnovabili disponibili – queste le conclusioni – presenta netti vantaggi rispetto al modello tradizionale affidato in prevalenza a fonti fossili. L’occupazione complessiva generata raddoppia, il valore aggiunto incrementale totale aumenta del 90%, in presenza di investimenti per occupato di poco superiori (467.000 euro contro 423.000).
Il ritardo con cui l’Italia ha iniziato a sviluppare, soprattutto in concomitanza con la crisi, le principali fonti rinnovabili, si legge nello studio, colloca l’industria nazionale in posizione di svantaggio rispetto agli altri più importanti paesi europei che hanno adottato da tempo le nuove tecnologie produttive. A causa di ciò, attualmente una quota consistente dei componenti dei nuovi impianti, così come parte delle royalties sui brevetti necessari alla loro realizzazione, sono importati, con l’effetto di ridurre la capacità dei nuovi investimenti di attivare la produzione nazionale. La riduzione della dipendenza dalle importazioni richiede un riposizionamento competitivo della industria nazionale da sostenere con un orientamento deciso e permanente della politica energetica pubblica a favore della ricerca e della innovazione tecnologica. Queste considerazioni, spiega il Cnel, hanno suggerito di valutare gli impatti economici e occupazionali di una variante dello scenario di impegno europeo che prefigura in sostanza una filiera produttiva meno dipendente dalle importazioni, quindi più competitiva: a parità di investimenti, di nuova potenza e di livelli produttivi, si avrebbe un ulteriore incremento della domanda interna che porterebbe l’occupazione complessiva a 111.540 unità (+8,5% rispetto allo scenario di Impegno Europeo) e il valore aggiunto incrementale complessivo a 6.189 milioni (+8,9%). Nello scenario di impegno europeo la forte contrazione del contributo del termoelettrico alla produzione aggiuntiva, da 55 a 28 TWh tra il 2010 e il 2020, comporta una riduzione di oltre il 50% del consumo di gas, la principale fonte energetica del settore. Considerato che l’incidenza del costo del gas sul totale dei costi operativi del termoelettrico è pari a oltre l’80%, nel periodo considerato si realizza una diminuzione delle importazioni che si attesta intorno a 8,3 miliardi di euro, valore che, per effetto cumulativo, al 2020 raggiunge 1,4 miliardi, la cui utilizzazione nel sistema produttivo nazionale concorre alla formazione del valore aggiunto incrementale complessivo di 5,7 miliardi. Il secondo mostra che con lo scenario di impegno europeo si realizza un doppio dividendo. Il passaggio ad un modello che tende a privilegiare le fonti rinnovabili consente infatti una apprezzabile riduzione delle emissioni di CO2. Queste, per effetto della contrazione della produzione elettrica dovuta alla crisi, nel 2009 erano scese a livelli di poco inferiori a quelli del 1990, circa 125 Mt di CO2 equivalenti. La ripresa della produzione termoelettrica porta inevitabilmente ad un nuovo aumento delle emissioni, ma assai diverso nei due scenari in funzione del contributo del comparto alla produzione aggiuntiva stimata tra il 2010 e il 2020. Nell’ipotesi che venga confermato al 2020 l’andamento in diminuzione del trend delle emissioni specifiche registrate tra il 1990 e il 2008, si valuta che nello scenario business as usual si raggiungano 143,4 mt di co2 e in quello di impegno europeo 129,7 Mt, con una riduzione di 13,7 Mt. In nessuno dei due scenari si raggiungono gli obiettivi del Protocollo di Kyoto e del Pacchetto 20-20-20.
Fonte agienergia.it